Dedicato a
Leonida Montanari
È una
tranquilla notte di febbraio e il nostro protagonista se ne cammina lungo una
qualsiasi via provinciale pronto a tornare a casa. Vede una Pantera che sfreccia
nel senso contrario al suo.
“Stronzi”
Pena ad alta
voce, ma non troppo.
Continua a
camminare e prova a pensare a quel che è successo negli ultimi giorni.
Parole che
per lui qualche tempo prima avrebbero suonato come la tromba di un angelo ora lo
inquietano: ingovernabilità, destabilizzazione sociale ed economica, eccetera. La
tranquilla notte di regime gli scivola addosso come un brivido, come il ricordo
di un brutto sogno, di una ricetta venuta male.
La
tranquilla notte di regime cade sull’asfalto mentre un rumore di macchina si
avvicina, alle spalle.
Cazzo. Cos’è
successo negli ultimi giorni? Ricordo che sono andato al seggio, che ho votato,
che ho votato per il bene di tutti… credo che sia il meglio per tutti. Cristo,
lo spero.
Mi sono
sentito anche uno schifo, dopo. Come se avessi stuprato una dodicenne. Come se
avessi visto un porno in cui un agente del governo se lo fa succhiare da un
ragazzino delle medie e lo picchia perché
non si è fatto venire in bocca. Poi mi sono ricordato che, in effetti, ho
votato esattamente contro il figlio di puttana che è solito fare questo, nelle
sue notti da ottantenne perverso in Pianura.
“Documenti,
prego…”
Una voce dal
nulla. Scuoto la testa e penso di essere troppo ubriaco. È troppo reale per
essere uno di quei rumori che scambi per voci quando sei sbronzo. Lei mi piace
ma non sono lei. Non sono Giovanna d’Arco.
“Muoviti,
documenti”
C’è un
coglione in divisa che mi si è parato, dal nulla, davanti.
C’è un
coglione, reale, coi suoi pantaloni a tinta unita e striscia rossa che mi
prende un braccio e stringe.
Mi divincolo
e mi libero
“Checcazzo
fai?”
“Sto facendo
il mio lavoro…”
Sbuffo ridendo come farei in ogni occasione davanti a un pallone gonfiato leccaculo e servo come quello, ma sento – non ricordando che cosa cazzo stia succedendo – che qualcosa, che tutto è cambiato.
Sbuffo ridendo come farei in ogni occasione davanti a un pallone gonfiato leccaculo e servo come quello, ma sento – non ricordando che cosa cazzo stia succedendo – che qualcosa, che tutto è cambiato.
“Cosa vuoi?”
“Chiamami Appuntato
e dammi del lei, coglione”
“Non do
nulla a nessuno. I documenti comunque non li ho”
In realtà
sono nel portafoglio, ma non li darò certo a quello stronzo perché me lo
ordina. Non ho fatto un cazzo, io.
“Non ho
fatto un cazzo, io. Anche ad averceli non glieli darei comunque i documenti,
Sua Eccellenza”
“Ascolta,
barba, non fare il simpatico con me. O mi dai i documenti o ti porto dentro.”
“Non sono in
fermo d’arresto, non ho fatto un cazzo e i documenti non li ho. Non rompermi i
coglioni.”
Faccio per
andarmene ma il manganello mi arriva di punta esattamente nel centro della
pancia.
Mi piego
senza fiato.
“Adesso tu
ci segui in caserma, testa di cazzo, perché hai violato il coprifuoco e
pregherai il tuo dio di non essere mai venuto al mondo, perché ti rifacciamo il
buco del culo e ci faremo dire dove sei stato e con chi hai cospirato per
rovesciare il governo di tutti.”
L’altro capo
del manganello arriva sull’altra faccia, l’unica, della mia medaglia e mi rompe
uno zigomo.
Nero.
Acqua gelida,
credo sia uno sputo.
“Buongiorno,
principessa”
Sto ancora
pensando a quello che mi hanno detto: coprifuoco,
governo di tutti, ti rifacciamo il buco del culo.
Non sono uno
dalla scorza dura, io. Sono sempre stato un cacasotto, uno che quando si
fumavano le canne fuori da scuola e passava la volante se la telava, anche se ultimamente
ho alzato la cresta. Nei discorsi con gli amici spiaccico due frasi fatte, “tutto
è di tutti” e “viva il fuoco” e vaffanculo, sono un anarcocristiano militante e
questo è quanto. Ho imparato ultimamente a credere nel prossimo come in me
stesso.
Ho imparato,
ultimamente, che se gli dai una mano si pigliano il braccio. E mi sta bene. Se hai
più bisogno di me puoi pure prendere quello che è mio. Sono solo cose, solo
soldi, solo cibo o coperte. Io credo nel Regno, quello che sta di là, dove
tutti – e per davvero – sono uguali.
Fino a
quando ho capito che qui si sta allo sfacelo, che ti ribelli solo se non hai
soldi per fare l’aperitivo o per pagarti le vacanze o il nuovo cellulare. Che ti
piace prenderlo nel culo ma senza economizzare. Senza margarina. Col burro,
cazzo, come i ricchi in tempo di guerra. Sia mai… fare la fine di quei poveri
della Grecia.
Dico questo da
persona che vive sulle spalle dei propri genitori. Lo dico da persona che ha il
lusso di avere la possibilità di dover pensare solo a se stessa sanguisugando
sulle spalle di altri.
Quegli altri
che ti mettono al mondo.
Ma io,
porcadiunaputtanatroia, non mi ricordo proprio quando il coprifuoco è
subentrato.
C’era la
crisi, fino a ieri, fino al voto, fino alla fine. Questo me lo ricordo, ma il coprifuoco
no, merda, quello no. C’era il potente che prometteva di restituire le tasse, come
se da prima del Medioevo non avessimo imparato un cazzo. C’era chi prometteva
che possiamo bastare a noi stessi, con quello che produciamo, e affanculo l’Unione
della Vecchia, Malandata, Puttana dalle grandi, consunte, slabbrate labbra
Europa, ché possiamo tornare alla lira, al ducato, al paolino, al sesterzio
senza bisogno di quel branco di inutili nobilastri. C’era chi se ne stava zitto
aspettando che gli altri fallissero e ha fallito.
E io sono
stato parte, per la prima volta, di quel fallimento.
Io ho
votato.
Cazzo.
“Allora,
lrglsn89p20d416e, dove cazzo eri? Tramavi contro la Volontà Generale?”
Non ricordo
che uno sbirro col QI di un bicchiere vuoto di un biancosporco avesse mai
saputo chi cazzo fosse Rousseau o che mi avesse dato un pugno in bocca, ma
gustavo dei pessimi grumi di sangue sulla lingua. Odio la carne al sangue,
cazzo. Mi piace ben cotta, strinata.
Me piacciono
le sole.
“Ero al bar
a bere”
“NON È VERO!”
“È vero,
cazzo.”
…
La scena
della tortura ve la risparmio, anche perché è stata violenza psicologica.
È stata
violenza mediatica.
È stata
violenza su chi, crescendo amando 1984, ha capito che chi non l’ha letto, 1984,
ha preso le prerogative peggiori del Grande Fratello: il controllo, l’annullamento
di sé per mano non di altri ma di se stessi (esattamente come il potere vuole),
lo psicoreato, saranno la colazione con cui si cresceranno i figli di questa
generazione che non è degli “Annizero”, ma di un qualcosa che neanche si può
definire “anni” o “zero”.
Sarà la
colazione di un niente che prova a definirsi, a contarsi, come una maggioranza
pronta a fottere gli altri pochi, idioti, rimasti a farsi violentare il cranio
al posto di tutti.
Ché tanto
domani ci sarà un nuovo derby, un nuovo telefono, una nuova battuta su
spinozapuntoit o un nuovo post da scrivere. Ci sarà sempre un nuovo programma
di cucina ad insegnarci come cucinare, e di conseguenza, vivere. Sbagliando.
Perché un domani
ci sarà il coprifuoco del cervello e noi tutti continueremo ad essere una
generazione di cantanti, calciatori, divi e cuochi falliti che, “al post delle
fragole”, nel risotto della vita, aggiungeranno niente. Un niente insipido.
Talmente
insipido che non avrà neanche il gusto della merda.
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