di a.muffinshow
dedicato alla Prof.ssa L.
che insegna Dante e
di letteratura non capisce
una sega di niente
Cani lettori,
vorrei con la presente presentarvi uno scritto inviato l'anno scorso ad un concorso letterario.
Un concorso utile come l'occupazione senza "K".
Il tema del suddetto concorso era "Resto o vado via". Parlando di tutto e niente mi sono sentito in dovere di insegnare ai dottorandi che non hanno vinto una borsa di studio in Italia e hanno vinto il concorso, parlando della fuga del loro "cervello" in paradisi intellettuali, tipo la Svizzera, patria di De Sausurre, del cioccolato e dei calvinisti.
Godetevelo perché due ebrei che parlano a cazzi e citazioni dall'Antico Testamento non sono cosa da tutti i giorni, visto che solitamente sono impegnati a contarli.
STANZA
137
Hotel. Interno. Due uomini nel
salotto della suite. Dalla finestra la luce di fine giornata. Molto fumo di sigaretta
e odore di divano nuovo (non più cellophane , ma quasi) o pulito. Uno, tranquillo,
sedato e ciondolante, in piedi alla finestra, guarda la gente che passa per
strada.
L’altro cammina nervoso per lo
spazio, cercando qualcosa nella tasca. La trova. La tira fuori.
“Merda.
Si è rotta in due.”
“Cosa
si è rotta?”
“La
sigaretta, no?!... cazzo, guarda qui.”
“Guarda
cosa?”
Si gira e osserva l’altro.
“Secondo
te cosa dovresti guardare se ti dico ‘guarda’?”
“La
sigaretta, ho capito…”
Sospira dolcemente. Inizia a
pensare.
“Sai
in cosa siamo diversi dagli animali? In nulla. Se guardi bene puoi vedere tutto,
da qui. Tutto è su quel marciapiede. È come se lì corressero gazzelle e
cavalli, volassero aquile e passeri, come se la iena giocasse col mulo e la gallina
sonnecchiasse sul leone. Loro non sanno di essere identici al gatto. Non
capiscono che il trucco sta nel passaggio tra Energia e Materia.”
Smette di pensare. Sospira
sconfitto.
“Scusami.
Pensavo ad altro.”
“A che?”
“A che?”
“Al
fatto che loro, giù in strada, non pensano e non capiscono, quindi non guardano
ai particolari. Secondo te la gente pensa mai che il polmone sinistro è più
piccolo di quello destro? No, non lo pensa. Eppure continua a fumare tranquilla
credendo di avere due polmoni, quando in realtà ne ha uno e tre quarti, o giù
di lì.”
“E
allora? Immagino abbiano qualcosa di più importante a cui pensare. Io ce l’ho,
per esempio.”
“Cos’è
che hai?”
“Qualcosa
di più importante a cui pensare. Cosa vuoi che mi freghi di un quarto di
polmone in meno… e poi tu non ti occupi di fisica? Non ti stavi scervellando
sul 137, con tutti gli elettroni e le costanti e tutte quelle cose?”
“I
numeri non sono tutto.”
Torna a guardare in strada.
“A
no?”
“No.”
“Giusto.
Dimenticavo che sei un genio. Fisico, mistico, filosofo. Tu pensi allo stesso
momento su piani differenti.”
“Lo
spazio-tempo non centra nulla in questo momento.”
“Sarà…”
Sospira e torna a cercare nelle
tasche.
“Comunque,
come sei arrivato a questa brillante conclusione? Perché proprio tu, adesso, mi
vieni a dire che i numeri non sono tutto?”
“Qual
è il numero di questa stanza?”
“Non
lo so. Dimmelo tu.”
“137.”
“Oh
cazzo. No…”
“Invece
sì. Vedi, ho studiato fisica per quindici anni e l’ho insegnata per altri
dieci. Ho fatto migliaia, milioni di calcoli e non ho mai considerato la
casualità. O meglio, non ho mai ho
considerato la casualità delle coincidenze.”
Il cervello si sblocca e intuisce
ogni cosa.
“È
Lui. Vuole dirmi qualcosa.”
“Sì!
Sarà sicuramente Lui. Come sempre dimentico la Cabalà… ma dove…? eccola!”
Nuova sigaretta. Nuovo tentativo.
“Merda.
Non funziona.”
“Cosa
non funziona?”
“Questo
stronzo di accendino.”
Lo scuote e ci riprova. Borbotta
fra sé “Sarà scarico, il bastardo…”. Torna a parlare ad alta voce.
“Niente.
Non funziona.”
“Mi
spiace.”
“Di
che? Dell’accendino?”
“No.
Per il tuo polmone sinistro.”
Lo fissa con disprezzo fraterno.
“Io
vado in cucina ad accenderla al fornello. Tu continua pure a parlare. Tanto non
ti ascolterei comunque…”
Esce dalla stanza ma la sua voce
continua a sentirsi.
“…
come la volta della tua visione del caffè postmortem nei giardini di Dio. Te lo
ricordi?...”
Rumore di un fornello a gas che si
accende.
“…
con tutti quei tizi delle varie religioni a bere da tazze di porcellana…”
Torna nella stanza. Sbuffa fuori il
fumo e riprende a parlare con la voce strozzata di chi parla fumando.
“…
a parlare di pace e fratellanza e del ricordo della riconciliazione tra la
Vergine e il Serpente e dell’assoluta trascendenza di Nostro Padre. Tranne quei
coglioni degli shivalisti che, aspetta com’era?... giusto!”
Lo indica, citando letteralmente.
“
‘facevan l’amore senza più corpo al ritmo di settantasettemila orgasmi
tantrici’. Te l’ho detto. Tu sei malato.”
Scuote la testa.
“No.
Il mio analista dice che ho l’ipertrofia dell’essere. Dice che il mio eg…”
“Tu
hai l’ipertrofia della bottiglia! Devi smetterla con quella merda. Quanti anni
hai? Sedici? No, non più! Sei un adulto
ormai. La cosa ti spaventa? Beh, vedi di fartene una ragione e piantala.”
Fuma avido. Fuma cattivo.
“E
piantala pure con quell’idiota di psicanalista. Quelli sono i peggiori. Sono addirittura
più complessati di Dio.”
“Hai
detto una cosa intelligente.”
“Certo, cazzo. Il fatto che sia volgare non significa che sia un idiota.”
“Certo, cazzo. Il fatto che sia volgare non significa che sia un idiota.”
“Non
ho detto che sei volgare o idiota. Ho detto che hai detto una cosa
intelligente.”
“Non
ho detto nulla di intelligente. Tutti hanno sotto agli occhi il Suo
comportamento autistico. Solo che io ho il coraggio di dirlo. Non è terribile
né misericordioso. È come un barista che serve da bere e soffre con chi gli
racconta la sua storia. Solo che non dice nulla. Serve da bere e se ne sta
zitto. Esattamente come un cazzo di barista autistico. E ti ripeto di smetterla
con quella roba. Ti spappola il fegato e il cervello.”
Mentre parla sparge fumo per la
stanza. Strappa di mano all’altro un bicchiere tozzo. Inizia a tossire. Ha
tirato troppo a lungo prima di parlare. Spegne la sigaretta in un posacenere
sul tavolo.
“Cazzo,
mi mandi in bestia. Mi fai pure strozzare… comunque sappi che non mi piacciono i
funerali. E non ho voglia di venire al tuo. Sai che odio mettere il vestito. Mi
si sfregano le cosce e poi mi si irritano e sembro una scimmia… tutto il giorno
a grattarmi là, là sotto… insomma, in mezzo alle gambe cazzo, come se avessi
gli slip troppo stretti, come un cazzone che a trent’anni non è ancora capace a
comprarsi le mutande. Quindi smettila di bere. Se non vuoi farlo per te fallo
almeno per me… e per il mio interno coscia.”
Ride come ride il fumatore. La
risata del cane. Il latrato.
“E
tagliati quella barba. Sembri lo zio Moishe.”
“Quant’è
che è morto?”
“A
dicembre fanno venti… no ventun anni. Quello stronzo ci ha anche rovinato
Channukkà. Ma che ti frega scusa?”
“Niente.
Pensavo.”
“Tu pensi sempre. A volte ti ammazzerei.”
“Tu pensi sempre. A volte ti ammazzerei.”
“Oh,
qui nasce un problema.”
“Ossia?”
“Che anche io ti ammazzerei. Ma lo farei così, per provare l’emozione di togliere la vita ad un uomo. Poi tu hai infranto tutte leggi del Decalogo. Io non ho mai disubbidito. Potrei iniziare proprio da lì. E pensa, tra tutti i possibili candidati sceglierei te.”
“Ossia?”
“Che anche io ti ammazzerei. Ma lo farei così, per provare l’emozione di togliere la vita ad un uomo. Poi tu hai infranto tutte leggi del Decalogo. Io non ho mai disubbidito. Potrei iniziare proprio da lì. E pensa, tra tutti i possibili candidati sceglierei te.”
“E
perché?”
“Perché
tra l’uccidere un uomo buono e ucciderne uno cattivo c’è una grande differenza.
E tu, mi spiace, ma sei un uomo cattivo.”
Gli si avvicina. Lo prende per il
colletto della camicia.
“Mi
stai dando dello stronzo, per caso?”
“Esattamente.”
Il pugno gli gira la faccia. Cade a
terra. L’altro sparisce per accendere una seconda sigaretta. Senza preamboli
questa volta. Tornato, lo aiuta ad alzarsi. Lui si guarda la punta delle
scarpe.
“Penso
di dovermene andare.”
“Perché?”
“Perché
mi tratti ancora come se avessimo dodici anni. A fare il granduomo, quello che
piglia a pugni, con la macchina potente e la sigaretta in bocca, che spacca
bottiglie in faccia alle persone, hai presente? Proprio come uno stronzo.”
“Non
provocarmi.”
Silenzio. Tira dalla sigaretta.
Cerca di calmarsi, lo stronzo.
“Scusami.
Rovino sempre tutto, cazzo. È che ci tengo. Sei mio fratello. Solo che mi
sembri Giobbe. Sconfitto. Perché così è più comodo, vero? Reciti - e male te
l’assicuro! - la parte dell’uomo alla vivaddio. Solo che non c’è Dio, o la
concorrenza, a renderti la vita una merda. Ci sei solo tu…”
“Giobbe?”
“Esatto.
Smidollato, boccalone, leccaculo, debole, patetico Giobbe. Che vive da merda,
sulla merda.”
“Sarei
io, la merda?”
“Sì.”
“Mi hai stufato. Davvero. Me ne vado.”
“Mi hai stufato. Davvero. Me ne vado.”
Prova ad andare verso la porta ma viene fermato
dall’altro, forse un poco più alto, sicuramente più sobrio.
“Non
fare l’idiota, sei ubriaco fradicio. Non puoi guidare in quello stato.”
“Me
ne vado, fratello. Me ne vado.”
Prova a dirgli, ancora, di
aspettare, bloccandolo. Lui si libera – l’altro smette di opporre resistenza -
e tacendo attraversa la stanza piena di fumo. Guadagna l’uscita. La porta si
chiude.
“Allora
vattene, fratello. Vattene affanculo."
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